Paura, rabbia e poi la messa sui vagoni della protesta
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Paura, rabbia e poi la messa sui vagoni della protesta â€Â¨Dalle 5 di mattina, quando ancora c’erano gelo e nebbia il treno é bloccato dalla polizia Ceca alla frontiera con l’ Austria. A bordo ci sono quattro “indesiderati” che non si vogliono consegnare e che i cechi non vogliono far passare. E’ quasi mezzogiorno, don Vitaliano celebra la sua “messa anti-globalista”, quindici ragazzi dei centri sociali inaspettatamente fanno la comunione, e intorno al treno monta un caso diplomatico che si trascinerà fino a sera. Quando — dopo contatti diplomatici senza risultato a che hanno coinvolto i due governi — i quattro indesiderati decidono autonomamente di scendere dal treno e consegnarsi nelle mani dei funzionari dell’Ambasciata italiana così che il convoglio possa finalmente raggiungere Praga nella notte.â€Â¨Il prete chiede perdono a Dio anche per i peccati <dei potenti, quelli che si credono i primi>, i banchieri e i finanzieri riuniti a Praga. Nella capitale, quando la notizia che il treno italiano é stato bloccato si diffonde, sfilano in mille per un simbolico funerale. Alla maniera ceca, in abiti neri e al suono di un ‘orchestrina, commemorano portando croci bianche i 19 mila bambini che in un anno muoiono, é l’accusa, per le scelte della Banca Mondiale. Il fermo del treno è ormai un caso. Si manifesta davanti al ministero degli Interni a Praga, così come a Roma all’ambasciata ceca, a Milano e Bologna di fronte ai consolati.â€Â¨Un braccio di ferro che si nutre di reciproche testardaggini. Il governo ceco, in pieno delirio di sicurezza per il vertice FMI, non vuol fare entrare persone la cui unica colpa é di aver partecipato, in agosto, a riunioni pubbliche di preparazione del “controvertice’. Sei ne acchiappano i poliziotti, di ragazzi sulla lista nera. Altri undici vengono respinti perché non hanno i documenti in regola. In quattro, di quella lista, restano sul treno e lì si barricano, difesi dai compagni. Un duro confronto con i poliziotti, presenti in massa.â€Â¨Sono le cinque del mattino quando il treno, dopo il controllo dei doganieri austriaci (<Adesso vi aspettano i cechi>, è l’avvertimento) si ferma a Horni Dvoriste, una stazione che serve più che altro come scalo merci. Fa un freddo cane, c’é la nebbia. La scena é piuttosto impressionante: 200 agenti di polizia, e 50 del reparto antisommosse, sono schierati sulla banchina in tuta da combattimento. Hanno dei grossi cani lupo, che abbaiano come pazzi attraverso le museruole d’acciaio. Sul treno sono tutti insonnoliti e sbarrano gli occhi: <Minchia, é un campo di concentramento>. Diciamo la riedizione di <Treni strettamente sorvegliati>, anche se Hrabal nel vederla correrebbe a farsi qualche birra per lo sconforto.â€Â¨Un doganiere, in italiano: <Dobbiamo mettere un timbro sul passaporto>. Poliziotti massicci occupano i corridoi del treno, e cominciano a sprangare le porte fra un vagone e l’altro. Ogni tanto invitano qualcuno a scendere e lo portano via, verso un furgone. Beppe Caccia, con gli occhiali di traverso, intima sulla banchina che gli chiamino il <colonel>. Fischi e slogan dai finestrini: “Tutti a Praga!”, <Democrazia !>. Cantano l’Internazionale. Un gigantesco poliziotto ridacchia. Partono telefonate verso l’ambasciata italiana a Praga, si cerca in Italia il parlamentare Verde Paolo Cento, detto <er Piotta>.â€Â¨Sono già le sei passate. Nel gelo, in mezzo ai binari, una improvvisata banda di ottoni e tamburi intona una specie di marcia funebre. Il sole non ce la fa diradare la nebbia. I cechi propongono un accordo: ve ne restituiamo 4 senza documenti, ma ci date gli indesiderati che sono sul treno. Risposta negativa. La polizia prova a trascinarli giù. Loro si barricano: <Una compagna si è incatenata>, urla il megafono. A quel punto, tutti giù dal treno, e comincia l’attesa di ore. Gli antiglobalisti si attaccano alle decine di telefonini, la notizia corre. <Non si può chiedere di entrare nell’Unione europea, e poi chiudere le frontiere a gente che non ha commesso alcun reato>. Telefona l’ex ministro verde Gianni Mattioli. Beppe Caccia e il capo della polizia si affrontano a muso duro: <Vi rimandiamo indietro tutti>, <Provateci. Volete il sangue, la guerra? Un massacro come quello dell’ 89>. <Veda di calmarsi>. Alle dieci e mezza, quando finalmente il sole ce l’ha fatta e ci si scongela, don Vitaliano chiede di celebrare la messa. Dica, padre, ma quand’è che il Vaticano la caccia via definitivamente?â€Â¨Dopo che sono andato al Gay Pride monsignor Re voleva sospendermi a divinis. Il mio vescovo mi ha difeso, ordinandomi: basta manifestazioni e interviste. Ho deciso di disobbedire. Anche san Tommaso diceva: segui la coscienza. E poi il Papa è contro la globalizzazione, come me>.â€Â¨Celebra la sua messa. Paolo Tavazzano, piccolo allevatore dei Cobas-latte, depone accanto all’altare-tamburo pannocchie e riso: <Roba naturale. Il riso é Volano, qualità lombarda che si usa per la rotazione. Se passa il transgenico, siamo tutti finiti>. Viene da Lardirago, provincia di Pavia, ed é il padre-padrone della mucca Ercolina, mascotte dei Cobas: <Ora è incinta - riferisce - Quando avrà sgravato vogliamo portarla davanti a Buckingam Palace: lo sapete che la regina d’Inghilterra é la più forte sostenitrice dell’abbandono delle coltivazioni?>. Racconta che dalle sue parti <i rappresentanti hanno già regalato semi transgenici ai contadini, perché li provino. Illegale, ma tutti tacciono>.â€Â¨Un altro personaggio è Paolo, casaro clandestino. Viene dalla Val Trebbia, e di mestiere è camionista.â€Â¨<Faccio formaggi per passione, di nascosto. L’Usl mi darebbe la multa, non sono in regola con le piastrelle e tutto il resto. Mi ha insegnato un amico siciliano, che adesso è morto. Si chiamava Cirino, anche lui casaro per passione. Uso ancora la sua caldaia di rame, e il fuoco di legna>. Paolo s’è portato borse di taleggi e primosale che elargisce generosamente. Lui ha un mito: <José Bové, mi ha affascinato. Sono stato al suo processo>. E un sogno: <Vorrei avere dieci o venti pecore, mollare il camion, portarle nei pascoli abbandonati della mia valle. E fare il formaggio>.â€Â¨Intanto la trattativa va avanti, mentre i mille del treno sciamano verso l’unica bottega del paese, che fa affari d’oro. C’è chi raccoglie mele e pere cadute (buonissime).I viveri del viaggio sono finiti. In stazione il bar è chiuso, come le toilette. Quelle del treno fanno spavento. All’una e mezza un elicottero della polizia scarica al campo sportivo un sottosegretario agli Interni. Lunga riunione con il colonnello che comanda la polizia. A Praga il ministro Peter Gross fa sapere che quattro pericolosissimi e indesiderabili <hanno precedenti per Seattle>. Alle tre arriva Francesco Puccio, primo consigliere dell’ambasciata italiana, con l’onorevole Ramon Mantovani di Rifondazione. Si chiudono in una stanza della stazione con i cechi. La proposta di Caccia e Casarini é una opportuna mediazione: i quattro vengono portati all’ambasciata, e lì restano fino a dopo la manifestazione, per essere poi riaccompagnati al confine. Sulle banchine il clima é misto: pesante-giocoso. C’è chi gioca furiosamente a bandiera, come un gruppo di spagnoli che urlano in continuazione <cabròn>, e <vaffanculo>. E E c’é chi si sente prudere le mani: <Occupiamo i binari, facciamogli capire che stiamo per perdere la pazienza>. Trombe e tamburi proseguono senza soste: repertorio che va da <Addio Lugano bella> a <Rosamunda>. E pensare che la gita a Praga era cominciata benissimo. Una bella perquisizione a Porta Garibaldi, alla partenza: vietati caschi e protezioni varie. Poi, appena partiti, la distribuzione delle armi: scatoloni di pistole ad acqua.â€Â¨Era cominciata una furibonda battaglia lungo il treno. Come bambini, urlando. Un anziano doganiere ceco li guarda ora (affamati, stanchi, infreddoliti) e dice la sua:â€Â¨<La polizia aveva preparato tutto come se dovessimo affrontare dei nemici pericolosissimi. Ma sono ragazzi simpatici e piuttosto per bene. <Sono stato giovane anch’io, e anch’io volevo cambiare il mondo>.
lunedi 25 settembre 2000
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